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GIUSEPPE FLANGINI. Stupore e incanto

Chiostro di Voltorre, Gavirate

Curato da
Associazione Giuseppe e Gina Flangini

SEDE ESPOSITIVA
Chiostro di Voltorre a Gavirate

12 marzo – 6 aprile 2010

Nella suggestiva cornice del Chiostro di Voltorre la Provincia di Varese presenta la mostra “Giuseppe Flangini. Stupore e incanto”: una novantina di opere, tra olii, disegni e materiale illustrativo, provenienti dall’Italia e dall’estero. Tra la grafica, i disegni dell’ Archivio Storico della Fondazione Corriere della Sera realizzati dall’artista per la testata milanese, esempio di una ricchissima produzione grafica che lo vide collaborare con numerose riviste e quotidiani. All’interno di tre sezioni, dedicate agli affetti famigliari, al paesaggio e al teatro, si affronta il tema della meraviglia: il visitatore si sofferma stupito, ma nel contempo incantato di fronte ad una realtà, vera o immaginata, che lo lascia attonito. Per Flangini, infatti, la pittura è uno strumento di straordinario coinvolgimento intimo e sociale, attraverso il quale […] l’artista interagisce con l’osservatore che ne percepisce il messaggio a volte in maniera nitida, altre intrinseca, ma pur sempre introspettiva. Infatti, il suo è uno sguardo interiore che si ferma non laddove è fisicamente, ma dove la sua mente vibra e vorrebbe trovarsi, con intenzionale pregnanza fisica, dentro al quadro (Antonio D’Amico). Giuseppe Flangini è stato scelto, tra i nomi illustri dell’arte antica e moderna, dal Ministero degli Affari Esteri per rappresentare, anche sotto l’egida della Provincia di Varese, la cultura italiana a Europalia International 2003. La mostra vuole rendere un doveroso omaggio all’artista a cinquant’anni dalla morte.

Giuseppe Flangini. Stupore e incanto
L’arte pittorica di Giuseppe Flangini è lo specchio limpido di un’epoca, quella della sua vita compresa fra il 1898 e il 1961, in cui le diverse esperienze artistiche si riflettono sulle sue opere intrise di un “ritorno all’ordine” candidamente interpretato con un animo creativo, aperto a catturare le micro cellule invisibili della realtà che lo circonda. Quella che Flangini imprime sulla tela è una vita interiore, intima, una realtà che gli appartiene in chiave affettiva e che egli con un animo silente lascia intravedere per mezzo di colori che trasudano il sapore dell’incanto.
Proprio così, la sua «è la semplice pittura d’ogni tempo, che vive e che va come una persona», come ebbe a scrivere Leonardo Borgese; una persona che cammina nella sua Verona prima, poi a Milano, fra i banchi della scuola dove insegna, sulla sedia di casa fra gli affetti famigliari e ogni giorno incamera lo stupore del dettaglio e senza impalcature rigidamente concepite lo salva sulla tela, come fosse la pagina di un diario visivo, anche quando e soprattutto l’oggetto dei suoi quadri è il paesaggio, vedute urbane o marine e spiagge. Infatti, il mondo pittorico di Giuseppe Flangini è costellato dal binomio inseparabile di uno stupore per il dettaglio e per l’incanto della semplicità visiva che lo spettatore potrà leggervi sulla tela. Questa poetica perdurerà per tutta la sua produzione, divenendo un timbro identitario e se solo ci si accosta all’intimo silenzio che pervade lo sguardo assorto di Cecilia, un olio del 1924 che apre la mostra, ci si rende subito conto dell’incanto che il coinvolgimento dei sensi provoca sia nell’animo del pittore sia in chi si ferma a guardare l’opera. Cecilia è l’immagine di un velato e tenero colloquio fra l’io donna conscia della sua femminilità in evoluzione e l’acuta, nonché paternalistica, presa di coscienza dell’io adulto che il pittore sprigiona nel suo senso di protezione. È l’incanto e lo stupore in un’unica e armoniosa danza, un incrocio sensoriale pervaso di silenzio che s’immobilizza in un’aura di profondo equilibrio. Infatti, tutto è in armonia e lo sarà anche oltre l’immagine, dove vive un mondo in cui si possono catturare i quid ispirativi. Nell’Autoritratto del 1925 Flangini si raffigura come una scultura che guarda l’infinito, tanto caro a Leopardi, ma in realtà il suo pensiero affonda nell’eternità del gesto pittorico, nella profondità che la pittura eternizza: momenti e attimi che si fissano nella memoria come ricordo o tangenze di presenze che, per chi non li vive qui ed ora, dovranno suscitare in futuro emozioni sempre valide e pensieri sempre attuali. Del resto, noi vediamo solo il busto di gesso, ma il suo sguardo va oltre, verso quell’oltre che per noi potrebbe essere l’oggi! Flangini è così… stimola la nostra riflessione e il nostro senso di andare oltre… La sua Campagna veneta del 1954-55 riflette lo stupore di distese che seguono il tacito vento che noi appena percepiamo grazie al seguitare obliquo delle fronde degli alberi. Ma quella vita che si respira nel quadro è l’incanto di un dono: la natura, fonte e musa della sua pittura! Flangini rilegge per immagini il suo tempo, intriso di un “sentire” comune che circonfonde tutti gli stadi del vivere umano, dalle sfere esterne del sociale a quelle più intime, e anche nel gesto sconsolato di un Arlecchino seduto riflette tutta la malinconia di un’epoca decadente. Dunque è così per ogni soggetto compositivo, per ogni fonte d’incanto, per ogni gesto pittorico di cui sente l’impellente necessità… appena suona la campanella, si torna a casa. Così per tutta la sua vita! E la mostra si chiude con Estate, un quadro del 1955-56: ricordo di una delle ultime estati della sua vita quando da una finestra il pittore assiste al succedersi degli attimi in un giorno, dove ogni oggetto che compone la sua veduta è la menzione sensoriale del suo essere qui ed ora!… così come lo siamo anche noi! Flangini si fa trasportare da quel treno in movimento: chissà dove lo porterà? …e quel treno, a quale fermata ci farà scendere? Antonio D’Amico

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