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GIUSEPPE FLANGINI 1898-1961

Complesso del Vittoriano, Roma

Curato da
Prof. Claudio Strinati – Soprintendente
Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano

SEDE ESPOSITIVA
Complesso del Vittoriano – Roma

8 ottobre – 5 novembre 2008

Dopo il successo di critica e di pubblico registrato nelle ultime due mostre estere (quasi 24.000 visitatori a Lille-Lewarde in Francia e 8.500 circa al Museo di Palazzo Imperiale di Innsbruck), Giuseppe Flangini ritorna in Italia con un’importante antologica in una sede prestigiosa della città di Roma, il Complesso del Vittoriano. L’esposizione, promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio e dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Roma, è un doveroso omaggio ad un artista poliedrico che, all’interno di una forte rete di relazioni, da Carrà, a Sassu fino a Ensor, ha cercato e trovato un linguaggio, anzi linguaggi specifici che fanno di lui un outsider della pittura del ‘900 ”la cui voce ha la suggestione di chi sa attraversare movimenti, tecniche e stili, senza assumerne nessuno come cifra definitoria del proprio percorso“ ( Luigi Meneghelli).
L’esposizione offre una significativa selezione di lavori, tavole ad olio, disegni, ceramiche, operata tra le quasi mille opere rintracciate negli ultimi anni e realizzate in un arco di tempo che va dal 1914 circa al 1961 e si propone di ricostruire l’itinerario storico ed artistico dell’artista veronese attraverso alcune sezioni: la stagione veronese, la stagione milanese e i contatti con la Scuola Romana, soprattutto con gli esiti di Scipione e Mafai (Franco Patruno) e infine la stagione “europea”. Arricchiranno l’esposizione documenti, oggetti provenienti dall’atelier dell’artista e opere di grande suggestione così il pubblico potrà condividere il commento del Presidente di Europalia 2003 Italia, Patrick Nothomb, all’indomani della scelta di Giuseppe Flangini come portavoce dell’arte italiana su proposta del Ministero degli Esteri, “Mon coup de coeur a été l’exposition de peinture de Flangini au Bois du Cazier”. L’iniziativa, che gode del Patrocinio dell’Assessorato Cultura Spettacolo e Sport della Regione Lazio, dell’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia e del Comune di Roma, del Comune di Verona e della Città di Tradate, è organizzata da Comunicare Organizzando con la collaborazione dell’Associazione Culturale Flangini.
Si ringrazia: Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma, INA Assitalia e DIGIsoft System Engineering S.r.l.  Catalogo in mostra.

Testo critico

C’è un apparente paradosso nella carriera di Giuseppe Flangini. Malgrado abbia esordito presto e abbia avuto una parabola ampia e articolata sembra di poter dire che desse il meglio di sé durante la piena maturità nel corso degli anni cinquanta in cui emersero tutti gli elementi più significativi della sua arte. Ed è interessante notare come proprio la compiuta consacrazione critica, a opera di Leonardo Borgese, giungesse per lui nel 1959 in occasione di una mostra importante a Palazzo Forti nella sua patria Verona.
Borgese, nel presentarlo, disse l’ essenziale. Notò la schiettezza sostanziale dell’ uomo e dell’ artista, ne mise in luce i caratteri fondamentali, rintracciò le motivazioni profonde che avevano portato Flangini a concepire e formulare quel tipo di pittura, mista di grottesco e di umiltà , di rammarico e di speranza, di meditazione e di divagazione. La pittura aveva, in effetti,  accompagnato tutta l’ esistenza di Flangini fondendosi sempre con il quotidiano. Era fondamentalmente uomo di teatro alieno da ogni retorica, attento a quanto lo circondava ma estraneo a qualunque forma di pedanteria. Aveva amori profondi e sinceri ed era coinvolto con la grande questione dell’ apparenza e dell’ essenza senza farne  un astratto tema filosofico ma vivendola nel concreto delle sue opere, tutte dettate dall’ esigenza di creare, mai esornative, mai scaturite dalla semplice voglia di piacere.
Borgese notò queste e tante altre cose e consegnò una immagine dell’ artista che era definitiva perché Flangini sarebbe scomparso poco dopo lasciando bruscamente interrotto un lavoro sempre più intenso e fruttuoso. C’è un aspetto della sua arte che potrebbe definirsi “goyesco” e che lo apparenta singolarmente al romano Mafai, in quelle strane fantasie fiammingheggianti di maschere inquiete e grottesche che popolano ambienti urbani oscuri e sfuggenti. Ma c’è anche l’ aspetto del teatrante malinconico e rattristato dalle cose della vita che si illude di poter illudere ma avverte una sorta di stanchezza ancestrale che grava sugli uomini e sullo spazio senza una spiegazione definitiva. Poi c’è il pittore di paesaggio che ha un occhio lunghissimo e guarda intorno a sé in un andirivieni di nitore e cupezza , di orizzonti lontani e di incombenti presenze. Non c’è dubbio che molto lo suggestionarono i soggiorni in Belgio e Olanda. Amava la figura di Van Gogh e la sentiva vicina in una comune tensione etica verso la pittura. Ma il suo stile è inconfondibile e la qualità della sua arte è spesso elevata. C’era nel suo tratto delicato e scorrevole quel carattere di una istintiva aristocraticità dell’ animo lontano le mille miglia dalla spocchia di chi si autoproclama erede di questa o quella tradizione. Al contrario la pittura di Flangini ha la virtù della discrezione e ottiene una benevolenza particolare da parte di chi guarda alla ricerca di valori poco appariscenti ma duraturi.
Dunque questo veronese, che si calò nella cultura milanese con partecipe comprensione, ha scritto una pagina molto interessante nella storia della nostra pittura tra gli anni quaranta e cinquanta. Nell’ Autoritratto che esegue, a ventisette anni, nel 1925 si rappresenta come un Busto volto verso l’ interno del quadro . Sembra fatto, quel busto, di una materia delicata e fragile, il volto quasi non si vede come se ci fosse in lui una sostanziale incertezza sul come affrontare il mestiere dell’ artista. Si avverte la serietà e la compostezza di una gioventù vissuta con la ferma intenzione di immergersi in un domani positivo e costruttivo.
E l’ esito finale della sua parabola confermò le premesse della giovinezza.

Prof. Claudio Strinati
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico
e per il Polo Museale della città di Roma

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